Spingere un macigno o l’arte di trasformarsi

 

sisifo[1]

 

C’era una volta un uomo che voleva compiacere il Creatore nel miglior modo che poteva. Pregava giorno e notte, finché in ultimo una Voce parlò dall’invisibile mondo spirituale e gli disse: “Voglio che tu spinga un macigno”.

L’uomo si svegliò il mattino successivo pieno di entusiasmo. Si precipitò fuori casa e trovò un grosso macigno su una strada non lontano da casa sua. Immediatamente, egli cominciò a spingerlo. Ma non accadeva nulla. Il mattino successivo si svegliò e di nuovo spinse il masso. Nulla ancora accadeva… Quest’uomo si svegliava tutte le mattine per tre mesi di fila, e diligentemente spingeva il macigno con tutta la sua potenza. Tuttavia non accadeva ancora nulla… Ad ogni tentativo fallito, l’uomo diventava sempre più irritato per la sua incapacità di spostare il masso anche solo di un centimetro.

Finalmente, quando arrivò il quarto mese, l’uomo si disse: “Al diavolo tutto questo. Quel maledetto macigno non sta andando da nessuna parte, e non comprendo il significato di tutto ciò”.

Allora l’uomo fece un altro sogno nel quale parlava alla Voce Celeste dicendoGli: “Io non so cosa Tu voglia da me. Ho provato a fare ogni cosa che mi hai detto, e non è successo niente.

Il Creatore rispose: “Perché ti sei fermato?”

L’uomo rispose: “Perché non è successo niente”.

Dio disse: “Cosa vuoi dire con – Non è successo niente -? ” Guardati! Guarda come sei diventato forte, come ora sei determinato e concentrato. Guarda quanto sono possenti i tuoi muscoli. Non sei più la persona che eri quando hai cominciato a spingere la pietra. Sei cambiato. Ecco che cosa è successo. E inoltre, non ti ho detto di spostare la pietra: ti dissi di solamente di spingerla. Muoverò io la pietra quando sarà tempo…”

Quante volte ho penato, pianto e provato perché la pratica di alcuni asana restava inamovibile, e la comprensione delle azioni necessarie restava (e per altri asana ancora resta) incomprensibile e, apparentemente, senza alcuna risposta. Ore e ore a provare i pranayama tramandatimi dal mio Guruji, mesi trascorsi all’alba in pratiche di kumbhaka un tempo per me impossibili ma ora finalmente accessibili.

E’ il destino di ogni ricercatore dello yoga. Ogni asana è e sarà un macigno col quale cesellare la nostra forza di volontà, la nostra Shradda (fede), la nostra pazienza, il nostro Santosha (sapersi accontentare), il nostro Tapas (ardore nella pratica). Tutto di noi stessi sarà lentamente costruito dal regolare e instancabile impegno col quale spingeremo “il macigno della nostra pratica”. Asana, pranayama, meditazione, canto devoto dei mantra, servizio agli studenti nell’insegnamento, tutto avrà contribuito alla nostra crescita su ogni piano.

A tutti i praticanti io dico: continuate a spingere il vostro macigno. Ognuno di noi ha il suo personale, che attende appena dietro la strada del nostro quotidiano praticare. Sarà grazie a questo macigno che forgeremo la nostra abilità di praticanti, che ci permetterà di apprezzare sfumature sempre più tenui di questa infinita avventura che è lo Yoga. E quando “sarà tempo”, la pietra di ciò che prima sembrava inamovibile, sarà soffiata via dal vento della Grazia Divina.

Asana in piedi o Utthita Stithi

 

551724_454431477925048_693470259_n[1]

Il post di oggi è dedicato al fondamento della pratica dell’Iyengar yoga: gli Utthita Stithi, o asana in piedi. Per tutto il giorno siamo in posizione eretta, durante il tempo della veglia. Sarà quindi utile addestrare gli arti inferiori, che rappresentano il fondamento del movimento e dell’azione affinché diventino solidi e stabili. Come un edificio non può rimanere in piedi senza delle robuste fondamenta, così allo stesso modo senza il forte sostegno di gambe e piedi il cervello, sede dell’intelligenza, non riesce ad essere allineato con la spina dorsale.

970394_587142364651785_1558786399_n[1]

Ecco perché nella didattica dello yoga Iyengar si curano queste basi meticolosamente: per favorire la stabilità, il rafforzamento e la flessibilità dei praticanti. E prima ancora di affrontare asana del calibro di Sirshasana, è fondamentale riuscire a stare correttamente eretti sui propri piedi. La maggior parte della gente non sa stare in piedi. C’è chi piega le ginocchia, c’è chi spinge in fuori l’addome, altri ancora buttano il peso del corpo su un piede o sull’altro o addirittura tengono i piedi storti e non allineati: all’occhio di un esperto insegnante c’è di che stupirsi! Il problema è che questi difetti di postura nella posizione eretta si ripercuotono a loro volta sulla spina dorsale che a sua volta influisce sulla mente, a causa di un mancato corretto allineamento.

vira1[1]

Può sembrare strano, ma le intime connessioni tra mente e corpo sono sensibili anche a posture viziate negli anni o a una “incapacità appresa”, per così dire (stili di vita, sedentarietà, ecc), di allineare la colonna con le sue curve in modo del tutto naturale. Ecco che entrano allora in gioco gli asana in piedi, preziosissimi per mantenere il corpo, la mente e il cervello attenti e vigili: consapevoli nel momento presente. Qualsiasi insegnante di Iyengar yoga che si rispetti inizierà i suoi studenti a un lungo iter di studio in questa classe di asana, fondamentali per forgiare nei mesi il corpo quando, a tempo debito, affronteranno altre classi di asana come rotazioni, archi, capovolte, ecc.

yoga-aversa[1]

A quel punto l’insegnante avrà fornito ai propri studenti utilissimi strumenti di base, da riapplicare e approfondire in altre tipologie di asana. E anche quando si avrà una grande esperienza in campo, mai abbastanza sarà il tempo dedicato all’approfondimento ulteriore degli Utthita Stithi, per scoprirne sottigliezze impensabili per un principiante, e studiarne il potente effetto psichico che riversano su chi le pratica regolarmente.

Shavasana: sciogliersi nel Nada-Brahma

Cari amici dello yoga, non tralasciate mai lo Shavasana nella vostra pratica personale, persino se andate di corsa presi dalle vostre attività di ogni giorno. Almeno cinque minuti di Shavasana vanno praticati, perché sono minuti preziosissimi dove ci si distacca dal turbine dei nostri obblighi quotidiani, dalle preoccupazioni e dal nostro lavoro: la nostra vibrazione mentale letteralmente si trasforma quietandosi, e ci si ritrova fluttuanti nei reami psichici interiori, avvolti dalla Natura e sostenuti dall’abbraccio della Madre Terra, mentre si assapora la grazia della pace mentale.

Nel capitolo 30, paragrafo 1 di “Teoria e pratica del pranayama“, Iyengar dice dello Shavasana: “Shava in sanscrito significa cadavere, e asana posizione. Shavasana così è una posizione che simula un corpo morto ed evoca l’esperienza di rimanere in uno stato simile alla morte e di porre fine alle esperienze del cuore e della carne.  Significa rilassamento e quindi recupero. Non è il giacere semplicemente sulla propria schiena con una mente vuota e vagabonda, né si conclude russando.”

Studiate bene le procedure di pratica con il/la vostro/a insegnante, in modo da capirne correttamente l’applicazione. Non solo, ma fate sempre riferimento al libro, dove Iyengar espone in modo chiarissimo e approfondito le varie applicazioni dell’asana. Secondo Guruji insieme a Tadasana è, paradossalmente, l’asana più complesso di tutti, anche se è il più ritemprante e gratificante di ogni altro. Non solo: Shavasana è il portale di entrata per il Pratyahara, il Dharana e la pratica profonda del Pranayama, che altrimenti rimarrebbe un mero esercizio respiratorio.

Grazie allo Shavasana la luce dei sensi viene portata nel santuario interiore dell’anima e, da quell’altare, la fiamma immobile del Dharana brilla interiormente illuminando di consapevolezza la coscienza. Immaginate una lampada che silenziosamente arde e la cui fiamma riluce immobile: è una campana di consapevolezza che ci riporta al momento presente.

E’ l’arte del non-agire, del non-fare, è l’arte del rimanere in consapevole presenza con l’Attimo Eterno. Ed è il miglior trattamento rigenerante e salutare che possiamo donare a noi stessi. Non dimentichiamo che l’azione dello stress a lungo andare usura letteralmente gli organi interni, indebolendoli della loro energia di vita e disturbando la circolazione sanguigna, procurando sbalzi pressori, distruggendo la buona digestione e inibendo il sano funzionamento di altri sistemi nel nostro corpo.

Lo Shavasana è la chiave che apre la porta della buona salute e di una mente sana. Rimanete in Shavasana cullati dalla madre Terra, la nostra fresca sorgente di Prana, dalla quale non dobbiamo mai disconnetterci, pena il deterioramento del nostro sistema nervoso. Rimanete immersi nel fluttuare della pace interna, fino a che il respiro diviene quasi inesistente e a tratti si estingue e dove i pensieri si sciolgono come neve, al calore della fiamma interna della presenza mentale.

I parametri di mente e corpo si resettano automaticamente portandosi al minimo vitale: come un potente motore di un auto che sta in folle, al minimo dei giri. Le fluttuazioni della mente si annullano e, praticamente, si sperimenta COME una “piccola morte”, per così dire, dove paradossalmente si rinasce totalmente nuovi all’interno di una creativa consapevolezza di Attimo Presente. E’ sperimentare la fusione della nostra anima col Nada-Brahma, o canto eterno dello Spirito, dove ogni cosa è comprensibile grazie al quietarsi della mente razionale. Vi lascio all’ascolto di un brano stupendo eseguito con strumenti naturali e voci. Ascoltatelo durante la pratica del vostro Shavasana e sperimentate. Fate divenire questa esperienza carne della vostra carne e ossatura delle vostre ossa. Sarete la testimonianza vivente di quel luminoso miracolo chiamato Yoga.

Il fluire della pratica nella nostra vita

 

20120216-000751[1]

 

 

Siamo appena entrati nell’autunno. Cambia la stagione, l’intensità estiva della luce solare si attenua, fa buio prima e iniziano i primi freddi. Con l’arrivo della nuova stagione autunnale si comincia a riorganizzare anche la nostra pratica dello yoga, dandogli un’altra connotazione più “invernale”.

L’autunno ci fa riflettere sulla ciclicità delle nostre pratiche e sulle stagioni delle varie età che il nostro corpo si trova ad attraversare. In questi momenti ritorno indietro nel tempo, a quando ho iniziato la pratica dello yoga, il mio percorso di formazione con gli insegnanti, le varie esperienze con ognuno di loro, ciò che ero, ciò che sono e ciò che desidero diventare. La pratica all’inizio casuale, e che gradatamente si dipana con la ricerca di un senso logico nelle serie degli asana… La ricerca appassionata nel campo del pranayama, vivendo il respiro la mattina presto nel Brahma muhurta, sul sentiero della quiete della mente…

Nel ripensare a tutto questo mi sono ritornati alla mente gli ostacoli, le delusioni, i piccoli traguardi e le scoperte che hanno fatto parte del mio cammino yogico e che, sono sicuro, fanno parte del sentiero di molti sinceri ricercatori che tuttora percorrono la Via. Voglio lasciarvi quest’oggi una breve serie di riflessioni utili per il vostro Atmavichara e il vostro Swadhyaya.

Le esperienze che chi pratica si trova a fronteggiare credo siano abbastanza comuni, il che non ci fa sentire come se fossimo le uniche persone a dover risolvere determinati problemi, ma ci unisce in quella Sangha silenziosa sparsa in tutto il mondo: la grande famiglia dello yoga. Buona lettura!

 

 

Supera le tue difficoltà con determinazione e grinta.

Che non vuol dire diventare dei “Terminator yogici”, insensibili e glaciali, chiusi nel piccolo mondo della nostra pratica. Sappiate che nello Yoga mille ostacoli sono celati: fisici, mentali e spirituali. Ne ha parlato diffusamente Patanjali negli Yoga Sutra, e sono stati la chiave di volta di grandi insegnanti per divenire quei fulgidi esempi di come si percorre la Via. Ogni ostacolo va affrontato con le giuste strategie, i giusti tempi, le giuste applicazioni pratiche MA con cuore gentile. B.K.S.Iyengar fece negli anni del suo gracile fisico giovanile, un tempio di salute ed energia. Come? Grinta leonina e determinazione inscalfibile.

Ascolta i consigli del tuo insegnante.

Anche se non hai una pratica adamantina, anche se non sei l’allievo di spicco ideale, ascolta ciò che il/la tuo/tua insegnante ti suggerisce per il tuo miglioramento. Se c’è un sincero desiderio di progredire nello yoga, questo è imprescindibile dal mettere in pratica l’insegnamento di chi ti indica come indirizzare i tuoi incerti passi  su questo complesso sentiero. Mettere in pratica ciò che l’insegnante ci dona è nostra diretta responsabilità.

Diffondi la tua conoscenza condividendola.

Più passa il tempo più vedo che molti miei elementi di ricerca e studio nell’ambito dello Yoga hanno trovato conferma nell’insegnamento ai miei studenti. Perché? Perché un insegnante che si rispetti si aggiorna continuamente e regolarmente da uno o più insegnanti di livello superiore: si chiama etica professionale, onestà e amore per ciò che si trasmette. Ripenso alla mia insegnante formatrice Gabriella Giubilaro,  la quale durante il nostro teacher training ci spingeva con forza a perfezionare instancabilmente la pratica, tuonando il suo “Se non lo sai fare non lo puoi insegnare!!” Dura verità, perché per trasmettere l’insegnamento dello yoga bisogna averne chiaramente compreso le basi. Solo lì ci sarà vera condivisione della conoscenza con i nostri studenti.

Apriti alle nuove opportunità e fatti nuovi amici.

Lentamente inizia con un semplice schema di pratica a casa suggerito dall’insegnante. Seguilo regolarmente, e altrettanto regolarmente inizia ad aggiungere un minuto in più alla tua pratica. Apri la mente a nuove possibilità che si celano all’interno della tua anima, dagli credito, non arrenderti. Studia, ascolta, osserva, metti pazientemente in pratica senza lasciarti scoraggiare. Fai amicizie nuove con altri praticanti, e magari una volta alla settimana potrete incontrarvi per ripassare alcuni elementi ostici della lezione svolta con l’insegnante, aiutandovi e dandovi coraggio tra di voi. Lo yoga significa unione, riunire, non dimenticatelo!

Il lavoro serio alla fine paga.

Spesso dopo una intera lezione di aperture del torace, per esempio, chiedo agli studenti come si sentono o chiedo loro un veloce feedback della lezione. Inutile dire che le risposte sono positive! Ma quel che vorrei far notare è che alla lunga il lavoro svolto regolarmente e seriamente darà dei risultati.  Io stesso aggiungo la mia testimonianza di infiniti piccoli e grandi miglioramenti che la pratica dello yoga mi ha donato. E in tutti voi che praticate: COSA è cambiato in meglio, da quando praticate, nelle vostre condizioni fisiche e mentali? Non possiamo barare con noi stessi. Se vogliamo dei risultati non si possono prendere scorciatoie ingannevoli. La Natura potrà averci donato un fisico flessibile, ma il progresso nella pratica yoga esige una disciplina attenta e regolare.

E non importa se non siamo molto flessibili: con una pratica attenta, corretta e metodica raggiungeremo dei risultati che pensavamo irrealizzabili. Lo Yoga avrà fatto di noi delle persone migliori, nonostante le nostre spalle rigide, la nostra paura di andare in Sirshasana, i nostri disturbi di schiena, le nostre ginocchia doloranti e i nostri vari limiti: saranno quelle le chiavi di volta che ci permetteranno di “gettare il Cuore oltre l’ostacolo.”

 

 

 

Il potere nascosto delle sfide

 

12047121_1634786346810052_3578327729874613153_n[1]

 

Oggi voglio condividere con voi amici dello yoga alcune preziose parole di B.K.S.Iyengar sulla pratica. E’ un periodo di tempo che sto preparando dei lavori specifici sugli archi all’indietro, e le mie rigide spalle stanno “risentendosi” del profondo trattamento riservatogli con la pratica di Pincha Mayurasana, Urdhva Dhanurasana e loro rispettivi propedeutici.

A volte si ottengono dei risultati apprezzabili, che ci rincuorano. A volte ci sembra di essere lontanissimi dalla méta e di aver sbagliato tutto…Spesso notiamo miglioramento nelle nostre pratiche a casa, dopo aver pazientemente applicato per mesi interi le istruzioni del nostro insegnante; altre volte sembra che ci siano dei momenti di stallo o  persino sembra di dover ricominciare tutto da capo. Non cadete nella trappola.

Se il vento non soffia più nelle nostre vele, forse quel che ci resta da fare è mettere pazientemente mano ai remi e continuare a procedere verso la méta. Come i marinai di un tempo, ci troviamo col mare della nostra pratica in piena bonaccia: tutto è fermo… Remare allora significa che si deve accogliere la sfida e ricominciare a a praticare in modo regolare, entusiasta e con il Cuore: cosa devo migliorare? Questo problema ha una risposta insita al suo interno: cosa è che devo capire nel risolverlo? Come posso pormi ancor più creativamente e gioiosamente verso la pratica?

Grazie a queste domande il fuoco della vostra pratica (Tapas) riscalderà e illuminerà la vostra intelligenza, come il Sole che sorge al mattino: questo farà nascere lentamente Svadhyaya, la conoscenza intima del Sé. Allora amici dello yoga mai fermarsi. MAI! No matter what: non importa ciò che accada. Breve passo, lunga via. Vi lascio alle parole del nostro Guruji.

 

“Malgrado i dolori sofferti durante l’apprendimento, continuate a praticare con devozione ciò che avete appreso. L’apprendimento è un processo molto difficile, ma ancor più difficile è mantenere  il campo conquistato. I soldati dicono che è più facile vincere una battaglia che mantenere il territorio conquistato.

Mentre cerco continuamente di migliorare la mia pratica e di fare sempre del mio meglio, mi accontento di ciò che sono in grado di ottenere. Persino quando il mi corpo invecchia e non è più in grado di agire come prima, appaiono delle sottigliezze che rimarrebbero invisibili ai più giovani o atletici.

Dovete sviluppare amore e affetto per il vostro corpo, per ciò che può fare per voi. L’amore deve essere incarnato nel più piccolo poro della vostra pelle, nella più infinitesimale cellula del vostro organismo, per renderli più intelligenti in modo che possano collaborare con tutti i loro simili, in quella grande democrazia che è il corpo umano. Questo amore deve diffondersi da voi agli altri. Chi pratica solamente gli asana si dimentica spesso che lo yoga serve a coltivare la mente e il cuore.

Patanjali parlò di cordialità, compassione, letizia e gioia. La cordialità e la grazia sono due qualità essenziali per il praticante di yoga. Durante le lezioni di yoga, gli studenti sembrano spesso così seri e distaccati dagli altri. Dov’è la cordialità? Dov’è la compassione? Dov’è la letizia? Dov’è la gioia? Senza queste qualità, non possiamo praticare il vero yoga di Patanjali.

Dovete prima di tutto purificare voi stessi prima di trovare i difetti negli altri. Quando notate l’errore commesso da un’altra persona, cercate di scoprire se anche voi state commettendo lo stesso sbaglio. E’ questo il modo in cui prendere un giudizio per trasformarlo in un miglioramento. Non guardate i corpi degli altri con invidia o superiorità. Siamo tutti nati con strutture fisiche diverse. Non mettetevi mai a confronto con gli altri. Le capacità di essere umano sono in funzione della sua forza interiore. Scoprite le vostre capacità e cercate continuamente di migliorarle.

L’intensità della pratica si sviluppa con il passare del tempo. Ognuno di noi riceve da Dio dei talenti, ed è nostro dovere svilupparli in maniera dinamica per realizzare il loro massimo potenziale: in caso contrario non faremmo altro che storcere il naso di fronte ai doni che la Vita ci ha offerto. Inoltre, quando vengono realizzati al massimo, i nostri talenti, per quanto possano variare da un individuo all’altro, ci forniscono il collegamento che ci ricondurrà a riunirci a Dio.”

Fonte: B.K.S.Iyengar, Vita nello Yoga, Mediterranee editore