Il potere risanante della Pazienza

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Cari amici dello yoga, oggi voglio prendere come spunto un pensiero del Maestro bulgaro Aivanhov per fare un parallelo tra gli Yama e i Nyama dell’ottuplice sentiero di Patanjali, e la virtù della pazienza. Sia nello yoga che in qualunque altra tradizione spirituale come quella antica dei Padri del deserto, la Pazienza viene spesso citata ed elogiata come una potere che può cambiare la realtà circostante.

 Gandhi ne fece l’arma principale nel suo movimento Satyagraha che, a lunga scadenza, fiorì e fruttificò con la liberazione pacifica dell’India. Si potrebbero citare infiniti episodi dove il Buddha, i maestri del buddhismo tibetano e tante altre tradizioni spirituali elogiano il potere spirituale trasformante della Pazienza. Aivanhov addirittura descrive il benefico influsso che questa virtù possiede nel rimodulare la reattività del nostro carattere verso gli episodi quotidiani della vita.

 Lasciandovi alle sue penetranti parole do a voi, come piccolo esercizio, il fare un parallelo tra la pazienza e gli Yama e i Nyama di Patanjali. Sono sicuro che troverete tanti elementi di riflessione dentro il vostro Cuore, elementi che potrete donare ai vostri allievi per chi insegna, e grazie ai quali irrobustire la vostra pratica, per gli studenti e gli allievi. E questo si chiama Swadhyaya

 « Siate pazienti e vivrete a lungo. Voi direte: «Ma non è possibile. Bisogna spendere talmente tante energie per sopportare le situazioni e le persone difficili!». No, al contrario. È proprio nell’impazienza che sprecate più energie. La calma e la pazienza rafforzano la vitalità e allungano la vita. Chi, dopo essere esploso contro le persone o gli avvenimenti, esclama: «Ah, ora mi sento meglio!», non si rende conto che quel “meglio” in realtà è una grande perdita. Provi ad analizzarsi per sapere cos’è che in lui si sente meglio: la sua natura superiore o la sua natura inferiore? E un attimo dopo, ripensando a quell’esplosione, è davvero contento di sé? Non dice forse a se stesso che sarebbe stato preferibile potersi controllare?
Cercate di sperimentare in voi l’efficacia di quella virtù che è la pazienza. Piuttosto che ricorrere a ogni sorta di sciroppi, pozioni, elisir e altre bevande, bevete un po’ di pazienza! Sarà quest’ultima a rianimare in voi le potenze della vita, che sono potenze inimmaginabili.  »

Fonte: Omram Mikhael Aivanhov, Pensieri quotidiani 2016

 

Iyengar e il Pranayama

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Cari amici dello yoga, proprio questo mercoledì con i miei studenti abbiamo praticato il pranayama e approfondito alcune nozioni tecniche e filosofiche. Sono tornato il 6 di gennaio dall’India carico di tanta energia spirituale, e subito l’ho voluta condividere coi miei studenti a lezione, approfondendo diversi aspetti della pratica. A tale scopo voglio condividere con voi la lettura di questi concetti spiegati da Iyengar stesso sugli aspetti interni del pranayama, argomento di spicco nelle mie lezioni con i miei studenti e ogni volta mai approfondito quanto merita. Fate riferimento a quel trattato MERAVIGLIOSO che è Teoria e pratica del Pranayama, dove questo aspetto profondo e poco conosciuto viene descritto in maniera molto esaustiva e prendendo spunto dalle varie scritture classiche dello yoga. Buona lettura e… buon pranayama!

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La pratica del pranayama non elimina solo il velo di confusione che offusca la luce dell’intelligenza ma rende la mente uno strumento adeguato per la meditazione”.

“Normalmente il flusso del respiro non è regolare perché dipende dalle condizioni fisiche ed emotive. Occorre quindi regolare il flusso a zig-zag del respiro deliberatamente e con attenzione. Quando tale attenzione sarà inserita nel flusso di inspirazione ed espirazione, saprete che è iniziato il pranayama.

Il pranayama consiste di inspirazione (puraka), ritenzione del respiro (kumbhaka) ed espirazione (rechaka). L’estensione e il prolungamento di puraka e rechaka dipendono dal tempo (kala). Ora inspirazione – ritenzione ed espirazione – ritenzione avvengono nel torace (desa), mentre la precisione (samkhya) viene mantenuta mediante il flusso ritmico e regolare del respiro. Prendete nota che nel puraka il corpo casuale (karana sarira) si muove dalle profondità interiori verso la vastità del corpo, coprendo di spazio tutta la parte grossolana del busto (desa).

La ritenzione (antara kumbhaka) deve trattenere più a lungo possibile lo spazio creato, senza restringerlo. Nella fase di antara kumbhaka il corpo causale, il corpo sottile e quello grossolano si fondono in uno. In rechaka il corpo grossolano (desa) attraversa il corpo interiore per avvicinarsi al centro più profondo e unirsi a esso, senza restringersi pur recedendo dallo spazio. Nel bahya kumbhaka si ha la percezione dello stato di unione in cui il corpo grossolano e i corpi sottili diventano tutt’uno col corpo causale.

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Nel puraka non si inspira l’aria, ma è il Signore in persona che entra in forma di respiro.

Partendo dal pranayama deliberatamente controllato (yoga sutra II, 49-50), Patanjali aggiunge un altro pranayama che trascende il metodo della modulazione deliberata: specificatamente inspirazione, espirazione e ritenzione. Qui la respirazione è eseguita dal respiro stesso, senza premeditazione.

 

Il pranayama come preghiera.

Il Signore Infinito è fuori dal nostro corpo finito e al contempo nel centro più profondo di esso. Il sadhaka inspira l’Infinito e trattenendolo (antara kumbhaka) perfeziona l’unione con il jivatma (anima individuale). Egli non permette che alcun pensiero si intrometta o disturbi tale comunione dell’Infinito con il suo Sé individuale. Nell’espirazione il sadhaka modifica il proprio pensiero lasciando che il Sé abbandoni il Signore, attraverso l’esalazione del respiro.

Tramite il processo condizionante dell’espirazione, egli depone l’essenza stessa della vita come il devoto depone una ghirlanda di fiori ai piedi della divinità prescelta (Ista Devata Vigraha). Nella fase di espirazione – ritenzione (baya kumbhaka) egli attende che il Signore accetti il suo profondo abbandono, e rimanga per tutto il tempo della ritenzione umilmente sereno in unione col Brahman.

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Il pratyahara si cela nel processo stesso del pranayama. La mente ritirata dai sensi esce bramando i piaceri del mondo. Con la pratica del pranayama, i sensi invertono il senso di marcia e vengono fatti rifluire verso la pienezza interiore della mente distaccandoli dagli oggetti del piacere. Nel pratyahara i sensi si abituano al giogo della Luce interiore, che è eternamente pura, reale una e unica”

 

 

Fonte: “Yoganjali”, 70 gloriuous years of Yogacharya B.K.S.Iyengar, Light on Yoga Research Trust.

“Yoga and Dharma”, Astadala Yogamala, Volume 1, pag. 165-166.

 

 

Corpo flessibile e corpo rigido

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Cari amici dello yoga ben ritrovati al nostro periodico appuntamento. Inizia un nuovo anno dove semineremo semi di pratica e consapevolezza, dei quali avremo il frutto nei mesi a venire. Una domanda che spesso gli studenti rivolgono agli insegnanti, è sulla mancata flessibilità del loro corpo, specialmente quegli studenti che hanno appena iniziato a praticare. Anche io, come loro, ricordo i miei vani tentativi di Uttanasa, Supta Virasana, Urdhva Dhanurasana, ecc. pensandomi come un caso senza speranza.

Ma lo svantaggio apparente di avere un corpo rigido o delle aree critiche da lavorare, dona a lunga scadenza una capacità di ascoltare il nostro corpo e una capacità interattiva tra mente, corpo e intelligenza che saranno una risorsa nella pratica e nell’insegnamento. A tale scopo riporto uno stralcio d’intervista fatta ad Iyengar nel 1992, dove Guruji descrive brevemente ma perfettamente le differenze che ci sono tra un corpo flessibile e un corpo meno flessibile, e le potenzialità di entrambi.

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“Molti vedono le fotografie degli asana e pensano che un corpo  flessibile da solo sia in grado di eseguire tali asana. Ma occorre sapere che spesso anche il corpo sottile non riesce a dare riscontro al cervello o alla mente, perché manca di sensibilità. Sebbene la flessibilità del corpo eviti l’esperienza del dolore, esso grava sui nervi, provocando affaticamento, inquietudine e dolore o pesantezza alla testa.

I soggetti flessibili nella pratica esauriscono le energie anziché riceverle; le cellule vengono “spremute” e questo può indurre una infinità di malattie. Il corpo flessibile non stimola l’intelligenza a riflettere su cosa ci sia di sbagliato o di giusto  nella esecuzione di un asana. Al contrario il corpo rigido ha resistenza, azione e opposizione che spingono l’intelligenza a studiare gli asana nella giusta prospettiva.

Nel corpo flessibile non esiste azione, opposizione o resistenza che forniscano stimoli per il pensiero intellettuale e la stabilità emotiva: i praticanti entrano facilmente negli asana senza provare dentro di sé alcuna resistenza né risposta. Quando durante la gravidanza non si sente alcuna risposta, affiora la paura che il bambino non si muova perché privo di vita. Analogamente, l’asana eseguito senza resistenza è un asana privo di vita: come un bimbo nato morto.

Supponete inoltre di ricordare una poesia parola per parola senza conoscerne il significato. Ha senso secondo voi? Solo nel momento in cui conoscete la profondità del significato della poesia iniziate ad apprezzarla. Tale apprezzamento è interazione. Iniziate a riflettere sui versi e la riflessione si riverbera su di voi inducendo pensieri nuovi.

Similmente, mentre si entra in un asana o lo si mantiene, ci deve essere interazione fra corpo e mente come pure fra mente e intelligenza. Può essere che il corpo agisca ma la mente deve reagire. L’intelligenza deve riflettere sulla interazione tra corpo e mente: altrimenti il corpo fa da sé senza mandare alcun messaggio alla mente o all’intelligenza. In questo modo le porte non sia aprono all’intelligenza che non riesce a penetrare all’interno o all’esterno dell’asana, mancando di svilupparla appieno”.

“SE IL CORPO E’ FLESSIBILE, LA MENTE DEVE RESISTERE  E DIVENTARE DURA, AFFINCHE’ IL CORPO POSSA ESEGUIRE GLI ASANA”  B.K.S.Iyengar

 

Fonte: tratto da “Seed of pratical Yoga sown in America”, intervista di Laurie Blakeney, Rose Richardson, Sue Salaniuk e Tony Fhurman, Luglio 1992. Pubblicata da “Yoga 93, American Yoga Convention”, Ann Arbor, Michigan, 1993.