Cari amici dello yoga, il post di oggi parla del rapporto tra mente e asana, la finalità degli asana e il profondo influsso che la mente riceve dalla pratica delle posizioni. Nell’esecuzione di una posizione vengono presi in considerazione solo la mente e il corpo, mentre in realtà i suoi effetti sono molto più profondi. Patanjali dice nei sui Yoga Sutra che lo yoga controlla le onde agitate di Chitta, la mente. Per Chitta Patanjali intende la mente con le sue poliedriche sfaccettature. Nella nostra lingua non esiste un termine analogo per descrivere la mente. Chitta è un termine molto “tecnico” che possiamo tradurre con “ciò che riguarda la mente”.
Quando attraverso lo yoga noi indaghiamo la natura della mente questo viene chiamato “Chittavijanana”, o conoscenza della mente riguardo la sua reazione ad uno sforzo o il suo atteggiamento nell’affrontarlo. Uno degli strumenti che abbiamo a disposizione sono gli asana,che svolgono una benefica azione sul corpo, mentre alcuni ritengono che altri settori dello yoga si occupano degli effetti benefici su psiche, consapevolezza, intelligenza e sfera emotiva. Nulla di più erroneo…
Lo yoga non divide l’essere umano in compartimenti stagni, ma come diceva Guruji è “un viaggio dalla periferia verso il Centro, e dal Centro verso la periferia contemporaneamente”. Non c’è dualità alcuna. Nel verso II/46 Patanjali dice “Sthira sukham asanam”, gli asana sono posizioni stabili e comode”. Nel verso II/47 dice ancora “prayatna shathilya anantasamapattibhyam” e cioè che si arriva all’asana solo quando c’è assenza di sforzi strenui e quindi la mente è resa in grado di essere assorbita nell’Infinito.
Se ne deduce che gli asana portano in direzione di uno stato mentale neutro dove non c’è più tensione; che gli asana non sono eseguiti con sforzi strenui a discapito del corpo. Facili o difficili che siano le posizioni sono a prescindere dal corpo e sono per Chitta. E ancora nel verso II/48 “tato dwandwa anhabhighatah” l’asana porta la mente verso lo stato neutrale. E’ chiaro che Patanjali non intendeva che Yogasana sia solo ed esclusivamente lavorare sul corpo, ma lasciava sottoindendere che lavorato correttamente porti la mente verso uno stato neutro e non duale, libero dalle varie vrittis che la affliggono.
Quindi l’obiettivo degli asana E’ Chitta attraverso lo strumento del corpo. Non solo: i principi di Comodo e Stabile, sthira sukham asanam, sono riferiti a Chitta. Gli Yogasana sono eseguiti dal corpo ma rivolti a Chitta. Per Yogasana si intende una azione svolta a livello integrale che avvolge l’essere umano dal corpo fisico alla sfera emotiva fino agli stati profondi della coscienza. Quindi Yog è lo stato meditativo che si crea nel dipanarsi della struttura geometrica di un asana: la mente viene progressivamente offerta al Sé interiore, fino al raggiungimento dello stato meditativo estremo, il Samadhi. Questo presuppone una intensa ricerca di pratica personale, dove si esplora la mente nei suoi più profondi recessi. Per scrivere il post ho preso spunto da uno scritto di Prashant Iyengar che mi ha illuminato sul perché praticare, e sta cambiando la mia ricerca nell’ambito degli Yogasana: Chiitavijnana of Yogasana, un piccolo libricino che a mio avviso richiederà anni per essere ben assimilato nei suoi contenuti profondi.
Ecco perché la stabilità e comodità di un asana come descritto da Patanjali sono accezioni del corpo e della mente insieme. Solo quando si riescono a trovare queste condizioni l’asana da dentro il nostro cuore racconterà il “Canto del Beato”, la BhagavadGita che l’anima canta da tempo immemorabile e che noi, confusi e assordati dal clamore delle vrittis nel campo di battaglia della Chitta, non riusciamo al momento ad ascoltare. Buona pratica e buon ascolto del Canto!