Cari amici dello yoga, il post di oggi è dedicato ad uno strumento indiano chiamato Rudra Vina. Nei miei frequenti viaggi in India ho assistito a dei bajan e a concerti di assolo, dove le note struggenti di questo divino strumento vibravano melodiosamente nei più profondi recessi dell’anima. La Vina è considerata uno tra i più antichi strumenti indiani. La Rudra Vina e la sono provenienti dalle regioni del Sud dell’India mentre la Vichitra Vina proviene dalla cultura industana del nord dell’India. Il nome deriva da un’arpa dell’antico Egitto, il Bin. La Vina è uno strumento molto decorativo: è spesso riccamente scolpita e decorata in avorio, oro e argento. La forma è derivata da una cetra a bastone ed è in genere caratterizzata da un manico lungo e largo che costituisce l’asse dello strumento, da un gran numero di capotasti e dalla presenza di risuonatori, in genere due zucche svuotate. La Rudra Vina e la Saraswati Vina possiedono sette corde di cui quattro da tocco e tre che si allungano sulla parte sinistra del manico. Le corde non sono mai pizzicate da un plettro, ma soltanto dalle unghie del musicista che vengono lasciate crescere lunghissime. La Vichitra (“strana”) Vina è completamente priva di tasti ed è suonata poggiata in posizione orizzontale facendo scorrere sulle corde una palla di vetro o di pietra tenuta nella mano sinistra; emette un suono grave. Nel Mahabarata Narada Muni viene descritto come grande esperto di questo mistico strumento. Grande saggio, figlio di Brahma, viaggia costantemente nei tre mondi allo scopo di diffondere le glorie di Krishna, cantando e suonando la sua Vina. Grazie a poteri speciali, è in grado di viaggiare per tutti i pianeti sia materiali che spirituali. E’ uno dei 12 Mahajana. Dedico questo brano a tutti i praticanti dello yoga, affinché possano goderne durante le loro pratiche.
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Yoga come terapia genetica
Prana e consapevolezza
Cari amici dello yoga, ho trovato questa frase stupenda di B.K.Iyengar e ne sono rimasto colpito per la sua essenzialità e profondità di significato. Questo mi fa riflettere sulla continua necessità di esplorare il pranayama in tutti i suoi aspetti: tecnico, indagine interiore (atmavichara), stabilizzazione del prana e come sadhana nella mia ricerca spirituale. Le parole di Guruji diventano così la “tabella di marcia” per spingere me stesso e incoraggiare i miei studenti verso una ricerca sempre più approfondita di quello che è l’Elisir di Vita: il Prana. Possa la vostra pratica coronarsi di graduale successo.
“Per intraprendere il Viaggio Interiore, abbiamo bisogno di molta energia, e di una alta qualità di energia molto sottile. Queste interminabile esplorazione, lavoro e processo d’illuminazione richiede la speciale energia del prana. Il prana è speciale perché porta consapevolezza. E’ il veicolo della consapevolezza”.
B.K.Iyengar
Carrie Owerko: Il tuo corpo è Spazio
Cari amici dello yoga il post che vi propongo oggi è la traduzione di un articolo-poesia scritto dall’insegnante senior di Iyengar yoga Carrie Owerko. Le sue stupende parole ci fanno riflettere su come noi viviamo e percepiamo il nostro corpo. La sua profonda esperienza d’insegnamento ha distillato queste parole apparentemente semplici ma dense di profondo significato per chi, come noi, è alla costante ricerca in questo esteso campo esperienziale che è lo yoga. I centri di yoga Surya e Corpo e Mente di Civitavecchia avranno l’onore di ospitare questa grande insegnante e il piacere di poter approfondire con lei la pratica dello yoga Iyengar nei giorni 27/27/28 maggio 2017 proprio a Civitavecchia, in un albergo che si affaccia sul mare. Invitiamo tutti a partecipare e a condividere assieme il suo insegnamento in 3 giorni di pratica primaverile all’insegna di yoga, sole e profumo del mare. Buona viaggio esperienziale nel vostro corpo!
“Canto il corpo elettrico” scriveva Walt Withman in una parte di Leaves of grasses. Si!: I nostri corpi sono spazi che cantano. “Il tuo corpo è uno spazio che vede” è una mostra della brillante artista Lia Halloran. Si! Il corpo è uno spazio che vede. Il vostro corpo è anche uno spazio che sente. Il vostro corpo ha i fossili e le impronte dei propri antenati. Il vostro corpo possiede una forza vitale antica di milioni di anni. Essa vuole esprimersi. Essa si manifesta. “Canto il corpo elettrico” scriveva Walt Withman. Si, io lo percepisco. Il mio corpo è uno spazio che canta. Il vostro corpo era uno spazio che viveva nel mare. E’ uno spazio che uscì fuori dall’acqua. E’ stato una tenue creatura d’acqua.
E’ stato coraggioso e aggressivo. E’ stato timido e impaurito. Il vostro corpo è uno spazio antico. E’ uno spazio che ricorda. Il vostro corpo è uno spazio che è allo stesso tempo potente e fragile. Può essere ferito. Può percepire il pericolo e difendersi senza la vostra cosciente partecipazione. A volte prova a difendersi quando non c’è una minaccia presente. A volte ripone la sua fiducia nei luoghi sbagliati. Il vostro corpo è uno spazio che sente.
Noi ci ascoltiamo, ci vediamo e ci percepiamo l’un l’altro col nostro spazio-corpo e nel fare ciò ci “sentiamo” l’un l’altro. Questa è empatia. Il vostro corpo è uno spazio che conosce il canto degli uccelli e di suo cugino, il canto umano.Il vostro corpo è uno spazio che danza. Danzare è “cantare il corpo elettrico” nello spazio.
Questo spazio di espressione, di libertà, può risultare minaccioso per coloro che non hanno permesso a sé stessi, o non gli è stato permesso da altri, di avere una voce, o che non gli è stato permesso di lasciar risplendere il loro “corpo elettrico” ed esprimere la loro corrente vitale in movimento perfettamente incarnato.
Il vostro corpo è uno spazio che conosce. Il mio corpo è uno spazio che sa. Sa che questa piccola vita è un soffio di inalazione ed esalazione, uno sfiorar di brezza su un filo d’erba, sottili gocce di pioggia, che evaporano mentre sto scrivendo.
Il mio corpo è spazio che può scegliere di respirare profondamente col vento, e piangere liberamente con la pioggia. Può cantare con gli uccelli e danzare l’elettrica corrente che Withman descriveva. Perché il mio corpo è spazio che vive. E il mio corpo è spazio che muore.
Lo scrittore, psichiatra e reduce dell’Olocausto Viktor Frankl disse: “Fra stimolo e risposta c’è uno spazio. In quello spazio c’è il nostro potere di scegliere la nostra risposta. Nella nostra risposta giace la nostra crescita e libertà”. Il mio corpo è uno spazio che vede, ed è uno spazio che canta. Scelgo di cantare per l’amore del canto, di danzare per l’amore della danza, e di vivere il più liberamente possibile col mio intero corpo, così com’è.
Fonte: Carrie Owerko, “Your body is space”
Asana e Chitta
Cari amici dello yoga, il post di oggi parla del rapporto tra mente e asana, la finalità degli asana e il profondo influsso che la mente riceve dalla pratica delle posizioni. Nell’esecuzione di una posizione vengono presi in considerazione solo la mente e il corpo, mentre in realtà i suoi effetti sono molto più profondi. Patanjali dice nei sui Yoga Sutra che lo yoga controlla le onde agitate di Chitta, la mente. Per Chitta Patanjali intende la mente con le sue poliedriche sfaccettature. Nella nostra lingua non esiste un termine analogo per descrivere la mente. Chitta è un termine molto “tecnico” che possiamo tradurre con “ciò che riguarda la mente”.
Quando attraverso lo yoga noi indaghiamo la natura della mente questo viene chiamato “Chittavijanana”, o conoscenza della mente riguardo la sua reazione ad uno sforzo o il suo atteggiamento nell’affrontarlo. Uno degli strumenti che abbiamo a disposizione sono gli asana,che svolgono una benefica azione sul corpo, mentre alcuni ritengono che altri settori dello yoga si occupano degli effetti benefici su psiche, consapevolezza, intelligenza e sfera emotiva. Nulla di più erroneo…
Lo yoga non divide l’essere umano in compartimenti stagni, ma come diceva Guruji è “un viaggio dalla periferia verso il Centro, e dal Centro verso la periferia contemporaneamente”. Non c’è dualità alcuna. Nel verso II/46 Patanjali dice “Sthira sukham asanam”, gli asana sono posizioni stabili e comode”. Nel verso II/47 dice ancora “prayatna shathilya anantasamapattibhyam” e cioè che si arriva all’asana solo quando c’è assenza di sforzi strenui e quindi la mente è resa in grado di essere assorbita nell’Infinito.
Se ne deduce che gli asana portano in direzione di uno stato mentale neutro dove non c’è più tensione; che gli asana non sono eseguiti con sforzi strenui a discapito del corpo. Facili o difficili che siano le posizioni sono a prescindere dal corpo e sono per Chitta. E ancora nel verso II/48 “tato dwandwa anhabhighatah” l’asana porta la mente verso lo stato neutrale. E’ chiaro che Patanjali non intendeva che Yogasana sia solo ed esclusivamente lavorare sul corpo, ma lasciava sottoindendere che lavorato correttamente porti la mente verso uno stato neutro e non duale, libero dalle varie vrittis che la affliggono.
Quindi l’obiettivo degli asana E’ Chitta attraverso lo strumento del corpo. Non solo: i principi di Comodo e Stabile, sthira sukham asanam, sono riferiti a Chitta. Gli Yogasana sono eseguiti dal corpo ma rivolti a Chitta. Per Yogasana si intende una azione svolta a livello integrale che avvolge l’essere umano dal corpo fisico alla sfera emotiva fino agli stati profondi della coscienza. Quindi Yog è lo stato meditativo che si crea nel dipanarsi della struttura geometrica di un asana: la mente viene progressivamente offerta al Sé interiore, fino al raggiungimento dello stato meditativo estremo, il Samadhi. Questo presuppone una intensa ricerca di pratica personale, dove si esplora la mente nei suoi più profondi recessi. Per scrivere il post ho preso spunto da uno scritto di Prashant Iyengar che mi ha illuminato sul perché praticare, e sta cambiando la mia ricerca nell’ambito degli Yogasana: Chiitavijnana of Yogasana, un piccolo libricino che a mio avviso richiederà anni per essere ben assimilato nei suoi contenuti profondi.
Ecco perché la stabilità e comodità di un asana come descritto da Patanjali sono accezioni del corpo e della mente insieme. Solo quando si riescono a trovare queste condizioni l’asana da dentro il nostro cuore racconterà il “Canto del Beato”, la BhagavadGita che l’anima canta da tempo immemorabile e che noi, confusi e assordati dal clamore delle vrittis nel campo di battaglia della Chitta, non riusciamo al momento ad ascoltare. Buona pratica e buon ascolto del Canto!