I tesori nascosti nelle scritture vediche

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Cari amici dello yoga nel poster di oggi voglio parlare della profondità delle scritture vediche e come spesso personaggi,contesti, episodi e molto altro abbiano dei riferimenti con le pratiche yogiche e con i numerosi ostacoli e fasi di lavoro che il praticante incontra sul suo sentiero.

Le scritture dell’antica tradizione vedica sono sempre da intendersi a doppio senso. Ciò di cui trattano è un continuo riferimento alla sadhana che avviene all’interno di un devoto quando pratica le varie fasi dello yoga. Nella sua introduzione ai commenti della Bhagavad Gita, Paramahansa Yogananda fa riferimento al corpo-mente come lo Kshetrajna ( il campo) di Kurukshetra, dove le forze del bene e del male raffigurate dai Pandava e dai Kaurava, quotidianamente combattono la loro eterna battaglia per avere la supremazia sull’anima del devoto praticante.

Ogni giorno i sensi si organizzano per trascinare via dalla sadhana e dallo spirito di ricerca l’attenzione del praticante. Usando metafore e un linguaggio fiorito, le scritture descrivono minuziosamente questa eterna battaglia che ogni giorno viene combattuta all’interno delle nostre anime. Battaglie con morti, feriti gravi, atti di puro eroismo e sacrificio, vincite e perdite. Nessuno di noi è escluso da questa guerra: gli antichi Rishi ne erano coscienti, e chi si avvicina alla pratica dello yoga vede profilarsi innanzi le schiere della propria mente agitata pronte a scagliarsi contro armi in pugno. E che armi! Prendiamo la scrittura epica del Ramayana, che in India viene quotidianamente cantata e rappresentata nel teatro classico.

L’epopea del Ramayana si svolge quotidianamente all’interno del nostro corpo. La nostra anima è il Signore Rama, sublime modello di purezza, integrità morale e rappresentante del Dharma sulla terra. La nostra mente viene rappresentata da Sita, il cui ideale di vita è mantenersi pura nella sadhana per unirsi al suo divino sposo, il Signore Rama. Il fratello di Rama, Lakshamana rappresenta la pura consapevolezza al servizio dell’anima. Hanuman, il devoto guerriero-scimmia rappresenta il potere del Prana smosso da una intensa e regolare pratica del pranayama. Il demone Ravana, che rapì Sita trascinandola prigioniera nell’isola di Lanka, rappresenta il nostro Ego e viene raffigurato come un essere mostruoso a dieci teste: i 5 jnana indriya (organi di percezione) e i 5 karma indriya (organi di azione), mediante le quali Ravana divora insaziabilmente la nostra più tenue aspirazione alla sadhana e alla ricerca del Sè divino. Quando ogni giorno la mente ( Sita) viene rapita da Ravana, la nostra anima diventa irrequieta e va disperatamente alla sua ricerca. Di per se stessa l’anima non può unificarsi alla mente spiritualizzata, ma ha bisogno di un possente e fedele guerriero che gli fa da tramite: il Prana ( Hanuman) del respiro, che fedelmente segue l’anima ovunque essa vada.

Col potente aiuto del prana, grazie alla pratica regolare, disciplinata e devota del pranayama, la mente (Sita) ritrova il suo divino sposo, l’Anima (il Signore Rama), e il divino equilibrio viene ristabilito. Dopo una feroce battaglia, Rama sconfigge Ravana, e l’Età dell’Oro viene instaurata sul pianeta. Riflettendo sul personaggio di Hanuman, ci fa capire i significati profondi del PERCHE’ le scritture usarono le figure di questi divini personaggi per istruire i praticanti. Hanuman è una scimmia, un Vanara, ma è il brahmachari PERFETTO.

Le scimmie non controllano affatto i propri impulsi sessuali. Le scimmie, rispetto agli esseri umani, fanno cose sensa senso e sono abbastanza ottuse. Hanuman ha una conoscenza della sadhana e del Dharma supremi, ed è considerato il Principe di tutti i devoti (Baktha), colui che si squarciò il petto ed apparve l’immagine di Rama e Sita abbracciati: la sua mente è sempre centrata sul Sè eterno. Questo a significare che un VERO devoto possiede quella Shradda (fede) che lo rende come Dio stesso, ovvero una incarnazione di Amore e Vidya (conoscenza del Dharma). Vi auguro un profondo studio della Gita e del Ramayana, tesori immortali di una scienza antica come le montagne dell’Himalaya: lo yoga.

 

La differenza tra respirazione profonda e pranayama

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Cari amici dello yoga il post di oggi tratterà della differenza tra respirare profondamente e l’azione scientifica del pranayama. Sarà capitato a molti di noi di avere svolto una attività sportiva dove la respirazione viene utilizzata profondamente: scatti di corsa, nuotare, saltelli sul posto, tratti più o meno lunghi di corsa, sciare. I polmoni in questi casi vengono utilizzati al massimo volumetrico sotto un intenso sforzo, ma la stessa cosa accade anche lavorando il pranayama nello yoga: ogni alveolo viene utilizzato nel flusso armonico del respiro. Qual’è la differenza in questi due casi?

Vi è mai capitato di riempire un recipiente sotto un potente getto di acqua? Se l’acqua non trova una superficie consistente sulla quale depositarsi, il recipiente verrà riempito da un ribollio di schiuma e spruzzi. Da bolle di aria. A prima vista sembrerà che il recipiente si riempia fino all’orlo ma una volta che regoliamo il flusso dal rubinetto la schiuma si abbasserà velocemente fino a segnare il vero livello. Il che vuol dire che con un flusso eccessivo di acqua non potrà mai esserci un riempimento omogeneo e regolare fino all’orlo. Non solo. Se il flusso è incontrollato il recipiente assorbirà questa forza cinetica iniziando a tremare fino a rovesciarsi. Da bambini ci divertivamo a giocare sperimentando l’irruenza dell’acqua sugli oggetti. Questo fenomeno è estendibile anche alla respirazione. Durante uno sforzo sportivo, non sapremo mai se il respiro venga assimilato omogeneamente dai polmoni.

Cosa succede quando il flusso dell’acqua viene ridotto e mantenuto costante? Non ci sono spruzzi, schiuma e turbolenze, l’acqua sale lentamente e in modo uniforme, riempiendo il recipiente fino al giusto livello. Lo stesso si verifica nella pratica del pranayama. Prendiamo per esempio Ujjaji pranayama. La glottide viene appena socchiusa e il mento correttamente abbassato verso il petto in Jalandhara Bandha, per regolare armonicamente il flusso del respiro nei polmoni: stiamo aprendo il nostro “rubinetto” al minimo per riempire lentamente i polmoni utilizzandone  la piena capienza, evitando che l’aria non irrompa violentemente nella trachea, ma venga misuratamente guidata attraverso la fessura della glottide socchiusa. L’aria passerà quindi dolcemente fino a riempire armoniosamente le sacche polmonari. Il tutto in maniera yogica e con Ahimsa, non violenza.

Che succede quando in Ujjayi il flusso del respiro viene controllato? L’aria entrando dal naso passa alla trachea che si biforca verso i polmoni, dividendosi e ramificandosi in condotti sempre più sottili. Nel pranayama il tessuto polmonare accoglie dolcemente e pienamente il flusso dell’aria, andando a risvegliare ogni alveolo fino all’estrema periferia. Niente respiro affannoso, niente “turbolenze” né “schiuma”: ogni spazio vuoto tra alveoli polmonari e bronchioli viene colmato. Il tutto nella pace e nell’armonia della pratica. Lo stesso non si può dire in uno sforzo respiratorio affannoso, dove non avviene un ricambio ottimale in quanto i tessuti si irrigidiscono. Quando la muscolatura intercostale diventa dura, il respiro non riuscirà a toccare armoniosamente le zone periferiche dei polmoni, privandole così del tocco risanante dell’aria. Per cui effettuando il pranayama il flusso di inspirazione ed espirazione dovrà essere lento, ampio e profondo ma estremamente delicato, come quando il mare si distende sulla battigia in un giorno assolato d’estate senza vento (di bonaccia).

A seconda degli asana che pratichiamo scopriremo che il respiro tocca più o meno facilmente varie parti del corpo: differente sarà la sensazione del respiro inalato ed esalato nel torace a seconda di ciò che stiamo facendo: archi, capovolte, asana in piedi, rotazioni. La respirazione non sarà mai la stessa in tutti gli asana. Tuttavia questo ci insegna a distribuire correttamente e in modo uniforme il respiro durante l’esecuzione di ogni asana. Iyengar paragona questo fenomeno alla terra quando viene bagnata dalle piogge.

“Quando inspirate o espirate a fondo, tendete a restare in contatto solo con la parte raggiunta dal respiro e trascurate le altre, lasciandole secche e insensibili. Quando la terra è arida si crepa. Lo stesso avviene nella respirazione: le parti toccate dal respiro vengono alimentate mentre quelle escluse dal flusso respiratorio restano denutrite. Vale a dire che esiste una progressione da una parte e una regressione da un’altra. Quando eseguite un asana, imparate a distribuire uniformemente il respiro inalato o l’espirazione in tutto il torace.”

L’esperienza di pratica nel pranayama prima su me stesso e poi con gli studenti nella classe, mi ha insegnato che il tempo, la regolarità, la disciplina e la costanza sono le colonne portanti di questa profonda Vidya (conoscenza), senza le quali è impossibile procedere oltre. Vi auguro una luminosa pratica di pranayama!

“Come le foglie si muovono nel vento, la vostra mente si muove col vostro respiro”

“Come il fuoco brilla vividamente quando la copertura della cenere su di esso viene dispersa dal vento, così il Fuoco Divino risplende in tutta la sua maestà quando le ceneri del desiderio sono disperse dalla pratica del pranayama”.

“Non considerate la pratica del pranayama come un esercizio, ma come una preghiera. Il respiro è Vita”.

– B.K.S.Iyengar

 

Fonte: B.K.S.Iyengar – Teoria e pratica del Pranayama – Edizioni mediterranee