Restare con il nostro respiro

respira e sorridi

Un piccolo gioiello tratto dagli insegnamenti di Tich Nath Han, umile ma geniale monaco vietnamita, che ho conosciuto poco più di dieci anni fa, meditando assieme in un’antica chiesa di Roma, in una umida serata invernale romana, durante un seminario organizzato da Corrado Pensa.

La genialità di questo piccolo-grande monaco sta nel fatto di aver messo alla portata di chiunque il corpus dell’ insegnamento buddhista, rendendolo accessibile e praticabile sia per il meditatore esperto che per la massaia oberata dai doveri casalinghi: ognuno di noi, di qualunque estrazione sociale e formazione interiore, può praticare la consapevolezza del respiro nell’attimo presente, qualsiasi cosa stia facendo.

Sia camminando, che lavorando, che studiando, che guidando, possiamo allenare il potere di essere consapevoli nell’attimo di Eterno Presente dove la nostra anima ritrova la sua espansione di libertà, riscoprendo le sue vere radici di Infinito. Godetevi questo breve ma intenso momento meditativo. Praticatelo più volte nel corso della giornata. Prendete dimora all’interno del vostro Sé che è unito con il soffio del respiro universale. La vostra anima inizierà pian piano a parlarvi e…voi inizierete a ricordare la vostra origine divina. Buon respiro consapevole a voi tutti!

Kali: la Madre Cosmica

kali ma, litografia, Calcutta

Il post di oggi segue il precedente su Shiva, Signore degli yogi, e parlerà di una delle figure più terrifiche e misteriose del pantheon hindu: Kali, la Madre Divina. Il mio andare ogni anno in India, ha fatto del Bengala dell’est e di Kolkata (Calcutta) praticamente la mia seconda patria. Li, ho avuto la grazia di conoscere il mio Guruji, li ho conosciuto confratelli, amici e padre e madre spirituali.

Kolkata è uno dei misteri di contraddizione dell’India, ma piena di storie di grandi santi che in quell’angolo di India sono nati e hanno segretamente vissuto il loro dramma terreno. Nelle case di ogni hindu che si rispetti vedrete sempre immagini di Krishna, Radha, Rama, Ganesha, Hanuman, ma nessuno oserà mai mettere immagini di Kali, considerate troppo “forti” come iconografia. Nessuno tranne…i bengalesi! Per loro Madre Kali è un simbolo dei più sacri che esistano, ed hanno un rapporto viscerale con questo aspetto di Dio come Madre Natura.

Ma cerchiamo di capire perché gli antichi Rishi hanno rappresentato Kali con questa iconografia e cosa in realtà rappresenta. Dobbiamo sempre andare al di là della mera rappresentazione esteriore, e comprendere che i Rishi del passato hanno voluto lasciarci dei simboli da decifrare inerenti le realtà interiori: questo è da tenerlo sempre presente, altrimenti la nostra mente, che è temporale e limitata si abbarbica all’immagine esteriore, dimenticando il reale significato di Kali e quel che può risvegliare nel cuore di ogni sincero ricercatore spirituale.

Questa effige è stata per decenni male interpretata specialmente in Occidente e non solamente in India. La sua immagine fu usata come spauracchio dall’impero colonialista britannico che diffuse tante inesattezze a scopo politico e di dominio, una delle quali fu la setta dei Thugs che sacrificavano le proprie vittime a Kali. Ma vediamo cosa in realtà significa la figura di Kali. Ho girato molti templi del Bengala e non solo, e Kali spesso viene rappresentata nuda.

Nuda come lo stato naturale primigenio dell’essere umano, riscontrabile ancora nei bambini piccoli: Lei è Madre Natura che genera, cresce e dissolve ogni forma di vita. Il divino lila di vita e morte esprime la sua attività nella Natura: Lei crea, preserva e distrugge successivamente ogni forma di vita nell’Universo. La sua energia è onnipresente, e questo è simboleggiato dai capelli scarmigliati che si dipanano attorno a lei come un’aura: rappresentano la sua energia che tutto pervade.

Kali è l’Om eterno che risuona nelle sfere celesti, l’eterno canto del Sanathan Dharma (la legge spirituale eterna) che nutre e sostiene l’Universo. Nell’Om ogni cosa esiste: la materia, l’energia e i pensieri di ogni essere vivente. Uno dei tanti significati dei teschi appesi al collo è che Lei è presente invisibilmente nei pensieri più reconditi dell’essere umano. Kali rappresenta l’Eterno come vibrazione manifesta che tutto nutre e sostiene, e poggia il suo piede danzando nell’estasi dionisiaca della creazione sul petto del suo consorte, il Signore Shiva, lo Spirito immanifesto che, al di là dello stato vibratorio della creazione, è assorto nell’eterno samadhi, lo stato di assorbimento nello Spirito.

La sua lingua protesa in fuori simboleggia il kechari mudra che lo yogi raggiunge nelle pratiche avanzate del pranayama. Nella tradizione del kriya yoga del Bengala dell’est, il kechari mudra è il cuore della pratica del pranayama, e ci sono delle fasi introduttive e specifiche in seguito riguardo la sua pratica. Non solo.

Kali tiene in mano un testa mozzata: è la mente, l’ego del devoto che, grazie a una regolare e devota pratica del pranayama e della meditazione, viene reciso di netto e permette al devoto di andare oltre i limiti della coscienza egoica limitata. Questa è un’operazione necessaria alla crescita dello yogi e Madre Kali, consapevole di questo, chiede scusa al devoto per questa ingrata ma utile azione interiore. In India quando si fa un errore e si vuol chiedere scusa mostrandosi imbarazzati, si tira fuori la lingua come atteggiamento corporeo di scusa e riappacificazione. Paese che vai usanza che trovi.

Abbiamo detto che Kali danza su tutta la creazione: è la danza del movimento di vibrazione cosmica, nel quale tutte le cose vengono in manifestazione. Quando osa toccare col piede il petto del suo fiero consorte, il Signore Shiva, tira fuori la sua lingua come per dire: “Oddio, forse sono andata troppo oltre, forse non sto mostrandoGli il dovuto rispetto!” E quando il suo piede di vibrazione creatrice tocca il petto dello Spirito oltre la vibrazione, d’un tratto tutta la creazione cessa di esistere, assorbita nello Spirito Infinito.

Kali è rappresentata con quattro mani. La mano destra in alto è nel gesto di abhaya mudra, come per dire al devoto: “Figlio mio, io sarò sempre con te e sempre ti proteggerò ovunque tu vada!” La mano destra in basso simboleggia la kripa (Grazia) della Madre Divina, che dice al devoto: “Qualunque cosa mi chiedi io te la concederò! ” E su questo ci sarebbe molto da scrivere, perché spesso si chiedono delle cose senza discernimento spirituale (viveka) e che alla lunga si rivelano impedimenti, piuttosto che benedizioni. Per cui ogni devoto è tenuto a meditare profondamente, prima di chiedere cose che in realtà poi non si rivelano affatto utili per la sua evoluzione spirituale. Difatti coloro che hanno uno smodato attaccamento per le manifestazioni esteriori dell’energia materiale, saranno costretti a girare sulla ruota della rinascita, incarnazione dopo incarnazione, facendo su e giù tra gioia e dolore e mai trovando la pace del Cuore.

A Kolkata in alcuni templi tantrici Kali viene raffigurata con in mano un pashu, un cappio, col quale lega mani e piedi i suoi figli incatenandoli al mondo materiale di nascita e morte, legandoli con i doni materiali come ricchezze, figli, donne, uomini, possedimenti e tutto ciò che possa far dimenticare ai devoti la loro divina origine di nascita. Per cui i sinceri ricercatori spirituali che hanno capito l’effimero gioco della creazione, piangono ai piedi della Madre Divina implorandola di sciogliere il cappio che li tiene avvinti alla creazione materiale, permettendogli di esplorare la vastità dello Spirito infinito.

Costoro adorano la Madre del cosmo nella loro anima e, attraverso la meditazione profonda, s’immergono del suono dell’Om diventando uno con esso, saltando poi oltre lo stato vibratorio in seno allo Spirito, al di là della vibrazione del creato. Per cui Kali rappresenta l’agire di Madre Natura nell’Universo.

Le immagini di ogni devata dell’India rappresentano delle qualità del divino, e pertanto sono prettamente simboliche. Spero di avervi dato almeno un poco della mia esperienza dei viaggi in India e degli insegnamenti che quel popolo mi ha donato, e spero di avervi donato del materiale su cui poter riflettere e poter arricchire la vostra ricerca nel campo dello yoga. Gradirei i vostri commenti come feedback prezioso per i miei futuri post.

Shiva Nataraja: la danza della creazione cosmica

shiva

Si narra nei Purana che Vishnu e Shiva, un giorno, si recarono nella foresta per incontrare i demoni. Per non farsi riconoscere Shiva si tramutò in donna. I demoni lanciarono contro le due divinità una tigre dai magici poteri, ma usando una sola unghia Shiva la uccise, la scuoiò e si cinse i fianchi con la sua pelle.

Subito gli mandarono contro un demone nano maligno e potente, Apashmara Purusha, il demone del’ignoranza (Avidya). Il Signore Shiva lo rovesciò a terra e iniziò a danzare sul suo capo la danza selvaggia chiamata Tāṇḍava or Tāṇḍava-nṛtya. Durante la misteriosa danza  manifestò i cinque poteri sacri: pancha-krtya, che sono:

1) Srishti, il potere della creazione, rappresentato dal tamburo sul quale Shiva fa risuonare il pranava, suono primordiale dal quale emanano i ritmi ed i cicli della creazione.

2) Sthiti, la durata della creazione (mantenimento).

3) Samhara, il potere della distruzione, rappresentato dal fuoco che Shiva ha nella mano sinistra superiore (riassorbimento della creazione nell’Assoluto Immanifesto).

4) Tirobhava, il potere che nasconde la verità, permettendo la crescita e la realizzazione del proprio destino, rappresentato dal piede destro che schiaccia il demone.

5) Anugraha, il potere di concedere la grazia della conoscenza (Vidya), rappresentato dal piede sinistro alzato e dalla mano sinistra abbassata (favore, riconoscimento).

Il cerchio di fuoco rappresenta Prabhamandala, il cosmo e la coscienza senza tempo e anche l’AUM, dove la A rappresenta lo stato di veglia, la U lo stato del sogno, la M il sonno profondo ed il silenzio che segue la recitazione dell’Aum: l’Eterno non manifesto.

I cinque poteri, le cinque attività di Shiva Nataraja vengono manifestate sia simultaneamente che una dopo l’altra. Simultaneamente: nell’istante, come singola vibrazione o pulsazione di eternità. Una dopo l’altra: in successione con lo scorrere del tempo. Le tre mani superiori simboleggiano la creazione, il mantenimento e la distruzione. Il piede che schiaccia la testa del demone dell’ignoranza è l’occultamento, il velo di Maya. Il piede sollevato è la grazia che libera dal ciclo di morte e rinascita.

Per ingannare i demoni della foresta Shiva Nataraja si traveste da donna, ed è come donna che svela la sua natura divina (Shiva ardhanari). La mano abbassata di Nataraja  mostra anche l’unione tra i primi tre poteri: creazione,durata, distruzione-riassorbimento. Con gli ultimi due, il celarsi e il concedere la grazia.

Shiva, il ribelle, l’eccentrico, da un lato si nasconde e contemporaneamente ci offre la chiave per ritrovarlo. Celarsi e nascondersi… Il tempo viene rappresentato dal tamburo (Damaru) ed il fato viene rappresentato dal cerchio di fuoco, l’aureola che circonda Shiva Nataraja, Colui che danzando crea e distrugge l’Universo in cicli cosmici che si perpetuano nell’Eterno Presente.

 

Fonte: Ananda K. Coomaraswamy – La danza di Shiva. Arte e civiltà dell’India – 1918