Il legame che intercorre tra psiche e soma, tra la nostra mente e il nostro corpo, è cosa nota sin dall’antichità. I latini sentenziavano “Mens sana in corpore sano”, e la tradizione dello yoga dall’oriente prima, la civiltà greca e l’evoluta civiltà araba poi, dimostrano quanto fosse importante la ricerca dell’armonia tra la mente e il corpo.
Nei praticanti di yoga questo legame indissolubile di psiche-soma è profondamente studiato. Per B.K.S.Iyengar la pratica dello yoga è un viaggio che si svolge contemporaneamente dalla periferia verso il nostro centro interiore, e dal quel centro verso la nostra periferia corporea. Una armonica simultaneità, ciclica e mai uguale nel tempo, con percezioni ogni volta sempre nuove e dalle mille delicate sfumature, che lasciano intravedere la meravigliosa complessità del nostro essere profondo.
Chi ha vissuto l’esperienza di un corroborante shavasana (posizione di rilassamento), di una profonda seduta di pranayama, di asana con effetti introspettivi o della meditazione, sa cosa intendo dire. In quei momenti si vive il momento presente. La mente, dissolvendosi, diventa kalatita, al di là dello spazio-tempo: il tempo è come si restringesse e implodesse su sé stesso, lasciando spazio ad una espansione della coscienza e a una accresciuta consapevolezza. In quei momenti si può avere la chiara percezione del delicato legame che intercorre tra psiche e soma, tanto è inequivocabilmente presente alla nostra coscienza.
A questo proposito segnalo un articolo interessante dal titolo Medicina psicosomatica: funziona. E la filosofia yoga l’aveva scoperta secoli fa. Gradirei avere un vostro feedback tramite i commenti a questo articolo, perché in quanto ricercatore ed insegnante di yoga sono per me importante materiale di verifica.
Ho letto l’articolo linkato da Aldo sulla medicina psicosomatica, e volevo aggiungere qualche considerazione.
Nell’articolo si parla del nervo Vago, e del suo ruolo (sistema parasimpatico) nella regolazione di tante funzioni “involontarie”. Soprattutto è illustrata la relazione positiva tra ritmo cardiaco, che – per l’ appunto – è regolato dal nervo Vago, e benessere psicofisico.
Io aggiungo che – IMHO – regolando il ritmo cardiaco attraverso il controllo del respiro si potrebbe ottenere anche di più, non solo la qualità ma anche la durata della vita.
Infatti, numerose ricerche mediche di questi ultimi anni (fra tutti quelle del Prof. R. Ferrari – Univ Ferrara) dimostrano che rallentando il numero dei battiti al minuto si allunga, in maniera statisticamente molto significativa, il numero degli anni di vita di chi è già malato, e si riduce la probabilità di ammalarsi di chi è sano.
I Ricercatori per ottenere questo risultato hanno utilizzato farmaci o apparecchiature, ma dagli studi si evince che ciò che conta non è il modo come lo si ottiene, ma il fatto che la frequenza sia sotto controllo.
E quale miglior modo di regolare i battiti cardiaci che col Pranayama e la meditazione?
Grazie ad Aldo per il post, e ad Alberto per l’integrazione.
Da praticante e allieva posso dire che per percepire questo legame non occorrono anni di pratica. Per fortuna, anche se in modo appena accennato, lo percepisci subito.
Io lo percepii nella mia prima lezione di yoga, quasi dieci anni fa. Faticai molto, non riuscivo a star ferma, la mente se ne andava per ogni dove, però verso la fine riuscii a calmarmi e ad assaporare per pochissimi istanti quel legame come qualcosa di completamente nuovo e assolutamente desiderabile.
Nonostante l’impegno e la fatica, dopo pochi giorni tornai sul tappetino solo perché avevo nostalgia di quell’allineamento, di quel legame, e della pace che mi dava, degli orizzonti che apriva dentro di me. Il tempo è passato, ma la spinta per continuare a praticare – ora non solo le asana, ma anche il pranayama -, rimane la stessa: il desiderio di esplorare quel legame.
Poi se ci allunghi la vita, tanto meglio 🙂 è già tanto quello che ci regala nel presente della vita di ogni giorno.
Luisa
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