“Possiamo perdere solo ciò a cui siamo attaccati”.
In questo post vi parlerò del concetto di Aparigraha, o non attaccamento. Sebbene sia il più duro dei concetti da penetrare, aparigraha è allo stesso tempo il più sottile da capire e trasporre nella nostra pratica yogica e nel nostro vissuto quotidiano. Spesso ci è capitato di osservare quanta confusione e miseria l’attaccamento possa aver provocato in coloro che prendono a discapito degli altri, come se l’Universo avesse le risorse “contate” per i suoi figli. E come anche in noi stessi quanti esiti negativi ed illusioni l’attaccamento ha procurato a causa del possesso esercitato su cose, situazioni o persone.
Ma quando crediamo di avere la presa su qualcosa scopriamo un altro livello di illusione: noi ci attacchiamo a tutte le cose. Non fa alcuna differenza aggrapparsi ad un paio di scarpe nuove, a un’auto fiammante, all’ultimo modello di hi-phone o a delle idee fisse e cristallizzate. Non sono gli oggetti desiderati o i pensieri in sé stessi ad essere sbagliati, quanto la tenacia della nostra presa sugli oggetti e sulle nostre idee. Quando noi iniziamo a mollare la presa su idee e pensieri scopriamo un livello di pratica ancora più profondo.
Mettere in pratica aparigraha ci fa lentamente risvegliare alla consapevolezza che la nostra esistenza come sé separato da tutto il resto, è una illusione del nostro piccolo ego ristretto. La pratica degli asana è un terreno fertile per coltivare i nostri attaccamenti preferiti. Riflettiamoci qualche istante. Ci sono asana che decantiamo come “nostri cavalli di battaglia”. La linea che ci divide tra attaccamento e ardore zelante per la pratica è molto sottile! Ma la nostra pratica è anche un eccellente laboratorio di ricerca per aparigraha. In che modo?
Prendete un asana qualsiasi dove voi dovete migliorare e sapete che vi da filo da torcere: Uttanasana, Adho Mukha Svanasana, Prasarita Padottanasa per esempio; tutte asana dove dovremmo scendere con il tronco bene esteso e il capo verso il pavimento. Ho nominato queste tre ma la scelta sarà conforme alla vostra ricerca personale. Indipendentemente dalla postura scelta, fate in modo da mantenerla per alcuni minuti. Iniziate ad abbandonare ogni senso di possesso riguardo alla “mia postura” o riguardo a “come l’asana potrebbe apparire ad un osservatore esterno”. Lasciate ogni idea di finalizzazione dell’asana o di accorciare, per esempio, la distanza tra il capo e il pavimento (Prasarita Padottanasana). Lasciate andare qualsiasi idea su cosa “avreste potuto fare in più”. Lasciate andare l’idea di “voi stessi che eseguite l’asana” o di “io sto facendo la posizione”.
Tutti questi rappresentano dei piccoli passi verso il mollare il senso di io e mio: aparigraha. Concentrate la vostra consapevolezza sulla presa geometrica dell’asana, le azioni corrette da intraprendere, come queste azioni si sviluppano nel corpo e nella mente. Non importa a che punto dell’asana voi vi trovate, dal momento che state ricercando e sperimentando questi concetti, ciò che l’asana vi dona in quel momento è ciò di cui avete più bisogno. Tutto qui. Questo vi aiuterà nell’acquisire ancor più sensibilità e consapevolezza, salvaguardando voi stessi da inutili incidenti di percorso causati dal voler ostinatamente perseguire livelli di pratica al momento prematuri e inutili. Studiare aparigraha è andare strato oltre strato dell’asana, è come pelare una cipolla: non si potrà mai raggiungere il punto dove non ci sono ulteriori strati da togliere. E lasciate andare anche il concetto di perfezione assoluta e, in ultimo, anche l’idea di arrivare ad un punto di arrivo nell’aparigraha!
Considerate inoltre l’etimologia della parola sanscrita: a, una negazione, parigraha, indicante «ottenere qualcosa non sostenendo che se stessi», ossia il giusto indispensabile, che con l’aggiunta del suffisso di negazione A diventa esattamente l’opposto. Voglio chiudere con un pensiero luminoso di B.K.S.Iyengar che descrive il nostro viaggio nello yoga:
“Il cambiamento non è qualcosa che dovete temere. Piuttosto, è qualcosa a cui dobbiamo dare il benvenuto. Poiché senza il cambiamento, nulla nel mondo potrebbe crescere o fiorire, e nessuno in questo mondo si spingerebbe oltre per diventare la persona destinata a essere “.
Siamo in sintonia! ho appena scritto anch’io sul non attaccamento, ai figli in particolare..! Buona giornata Aldo!
Grazie Auraji! Gli attaccamenti sono comuni a chi vive in un corpo. Anche io ho figli e anche nipotini: come ti comprendo! 😉
😀 Grazie per “Auraji” 🙂 Buona settimana
L’attaccamento…mi ci scontro ogni giorno quando difendo strenuamente le mie certezze o credo ancora che la mia felicita’ dipenda dagli altri. Tutto questo rende schiavi come pure il non abbandonare una certa idea di perfezione che ostinatamente perseguiamo anche nella pratica fisica dello yoga.Abbiamo dei limiti che dobbiamo accettare pur cercando di migliorare senza preoccuparci troppo del risultato dei nostri sforzi.
Col tempo quando ho approfondito altri aspetti ho capito che l’attaccamento e’ in contrasto con la fede in un Divino che ci da’cio’ di cui abbiamo bisogno anche se non sempre come vogliamo noi… E che sarebbe meglio staccarmi dall’idea che “sono io che faccio e decido” e affidarmi.In definitiva e’ un concetto molto difficile da interiorizzare per me probabilmente perche’ temo I cambiamenti(ci devo lavorare ancora tanto).Grazie Aldo questo post mi ci voleva proprio. 🙂 Gio’