In un articolo tratto da Class after class, una lunga intervista a Prashant Iyengar, si parla della struttura esterna e interna dell’asana. Alla domanda: “Ci può parlare della tecnologia organica esterna ed interna degli asana e delle tecniche di esecuzione degli asana?” Prashant così risponde:
“Ognuno di noi conosce le tecniche di Tadasana e di Trikonasana, di come osservare i propri piedi, le gambe, la spina dorsale, le braccia, le mani, le dita, i pollici. Sappiamo che ci sono tecniche anatomiche, muscolari, di come lo scheletro e i muscoli dovrebbero posizionarsi e di come dovrebbero aprirsi le articolazioni. Allo stesso tempo comprendiamo che se c’è una direzione dello sterno e del torace in Tadasana, potremo immaginare che c’è anche una direzione per gli intestini, per il colon, per il fegato. Oppure in Trikonasana, se il busto è posizionato in un certo modo, le gambe saranno posizionate in un altro. Questo significa che oltre alla posizione delle gambe e delle braccia c’è una posizione per il corpo interiore, e che anche questo fa parte degli asana.
Noi creiamo certe azioni per entrare nella posizione e per mantenerla perché non si tratta di mera ginnastica o di aerobica. Nell’eseguire un asana noi creiamo una serie successiva di movimenti isometrici che non sono soltanto movimenti, in quanto l’esecuzione dell’asana comprende anche il respiro. Alcune azioni vengono eseguite per mantenere la posizione e altre azioni vengono eseguite per uscirne. Quindi l’asana comprende tre aspetti: esecuzione, durata e uscita.
Siamo molto scrupolosi quando entriamo in Trikonasana, correggiamo le anche, gli ischi e apriamo gli inguini. Ma quando usciamo dalla posizione li controlliamo? Siamo analitici, lenti e meticolosi nell’andare in posizione, ma quando l’insegnante ci dice “uscite dalla posizione”, lo facciamo senza pensare. Quando entriamo in una posizione, lo facciamo per gradi. A ogni stadio osserviamo i movimenti delle diverse parti del corpo. Quando usciamo dalla posizione, non osserviamo più questi stadi. Gli asana non sono semplici movimenti, sono stati.
Bisogna stare in un asana e questo implica entrare nella posizione e uscirne. C’è l’inizio, lo stato dell’asana e la conclusione dell’asana. Questi tre aspetti implicano una serie di tecniche. Quando si sta nella posizione, ci sono molte cose da aggiustare perché nel momento in cui abbiamo posato la mano a terra in Trikonasana non è ancora finita.
Dopo aver portato giù la mano destra ed esteso quella sinistra verso l’alto, ci sono molte cose da fare come ruotare la vita, lo sterno, allungare la spina dorsale, aprire il torace e portare le scapole in dentro. Questi aggiustamenti vengono eseguiti dopo essere andati in posizione. Ma poi che accade? Si esce dalla posizione immediatamente perché si pensa di aver esaurito tutti i punti da controllare e questo non è corretto. Dopo averla corretta, non restate nella posizione.
Invece una volta completati tutti gli aspetti di Trikonasana, bisogna restare nella posizione. È a questo punto che l’asana comincia, non quando abbiamo esteso le braccia. La posizione comincia quando abbiamo controllato tutti i punti e si suppone che vi restiate. Anche il concetto di tempo è sbagliato. Eseguite Trikonasana un minuto per parte. Dopo essere stati in posizione, guardate l’orologio e al sessantesimo secondo tornate su. Ma dove siete stati? Quanto siete stati? Avete impiegato 59 secondi per eseguire la posizione e al sessantesimo siete tornati su. Quando si sta in posizione, dovete continuare a fare qualcosa per mantenerla. Avete controllato tutti i punti e ora dovete mantenerli nell’asana. È da questo momento che parte il tempo.
È questo che crea la circolazione della posizione, la circolazione pranica, la circolazione psicomentale, la consapevolezza. Trikonasana è stata costruita e ora dovete mantenerla. Quando uscite dalla posizione dovete essere altrettanto scrupolosi e attenti. Non dovete collassarvi o piegarvi in avanti, altrimenti dov’è il controllo? Saper uscire dalla posizione è importante, vi aiuta a sviluppare uno stadio. Se uscite dalla posizione senza controllo, create un disturbo nella coscienza. Invece bisogna uscire con cura, cioè dovete costruire gli effetti dell’ asana anche quando uscite dalla posizione o almeno mantenere quegli effetti senza perderli. Dovete sempre osservare questi tre aspetti dell’asana nella pratica”.
Che aggiungere ancora? Forse il ripensare in maniera onesta e leale alla propria pratica, rivedendo con infinita pazienza e amorevolezza tutti quei “gap”, quei momenti di mancata consapevolezza che spesso ci dèviano, facendoci passare per la strada “più facile”. Questo processo è il quarto dei cinque Nyama, Swadhyaya, lo studio di sé stessi e delle scritture, dove indaghiamo con attenzione il nostro corpo e i nostri processi mentali.
Lo yoga è espansione della nostra intelligenza nel corpo, con sforzo continuo e prolungato (Tapas), là dove ancora non vi è accesso. È portare la luce della conoscenza yogica nelle zone buie del corpo e della mente. Tutto ciò implica attenzione, dedizione e una paziente disciplina che sfidi il tempo.
Ringrazio la cara amica e collega Cinzia Monti, insegnante certificata di Iyengar yoga per aver messo a disposizione la traduzione dell’articolo.