Il post che vi propongo oggi è la traduzione di un interessante articolo scritto nel suo blog dall’insegnante di Iyengar yoga israeliano Eyal Shifroni, che ritengo essenziale per dare ad ogni praticante quella consapevolezza interiore durante lo studio degli asana, senza la quale la nostra pratica si riduce ad una sterile sequenza di asana da eseguire meccanicamente. In realtà lo yoga è molto, molto di più di asana eseguiti roboticamente in sequenza.. Leggiamo cosa Eyal Shifroni ha da dire riguardo le posture e il modo in cui il nostro sguardo interiore dovrebbe attivarsi durante la nostra pratica.
Nel suo Yoga Sutras Patanjali discute sui cinque tipi di vrittis, o fluttuazioni della coscienza. “I vrittis sono differenti tipi di pensieri o attività mentali. Quali sono queste cinque vrittis? (Le attività mentali) sono causate da conoscenza valida (pramana), illusione (viparyaya), delusione (vikalpa), sonno (nidra) e memoria (smriti)” (Sutra 1.6 da Light on Yoga Sutras of Patanjali, di B.K.S.Iyengar). La conoscenza non corretta è quando noi pensiamo di conoscere qualcosa, ma in realtà ci sbagliamo. La concettualizzazione, delusione o fantasia (vikalpa) è una condizione nella quale la nostra mente crea una percezione che non è basata sui fatti attuali. Gran parte dei nostri pensieri sono fantasie ed immagini che non sono basate sulla realtà. La nostra mente ha la capacità di creare interi mondi immaginari.
Nelle nostre vita quotidiane siamo costantemente immersi in queste vrittis; Patanjali scrive che “Yoga è la cessazione dei movimenti della coscienza” e che una volta che l’attività si ferma, “l’osservatore” o principio cosciente del nostro essere, “vi permane in tutto il suo vero splendore” (da Sutra 1.2 a 1.3). Si possono intraprendere lunghi discorsi e teorizzare molte ipotesi sul concetto di “cessazione dell’attività mentale” e cosa Patanjali realmente intendeva su questo. In ogni caso Patanjali non esclude tutta l’attività della mente e indica (nel Sutra 1.5) “che l’attività mentale può essere dolorosa e non dolorosa”.
Nella vita d’ogni giorno noi vogliamo che le nostre azioni siano basate sulla conoscenza valida (pramana) e non sulla conoscenza non corretta (viparyaya) o su immagini inconsistenti (vikalpa). Mentre pratichiamo gli asana noi possiamo, attraverso la nostra esperienza fisica, consapevolezza, osservazione e correzione stabilire una corretta conoscenza.
Per esempio, quando ci riallunghiamo in Urdhva Baddhangulyasana, noi vogliamo estendere l’intera colonna in maniera tale che nel torace la parte dietro sarà ugualmente estesa come la parte davanti. Ma spesso, a causa di una insufficiente mobilità articolare nelle spalle o a mancanza di consapevolezza, noi estendiamo la parte frontale del torace a detrimento della schiena, così che la schiena ne risulta in effetti accorciata. Questo è un esempio di “conoscenza non corretta”. Pensiamo che stiamo estendendo, mentre in pratica stiamo accorciando… In realtà riallunghiamo la nostra colonna frontale ma accorciamo il retro della nostra colonna. Una delle ragioni è che la consapevolezza del nostro corpo è carente: siamo consapevoli maggiormente del davanti del corpo, semplicemente perché lo vediamo; quel che accade nella schiena è in maggior parte inesistente per noi.
Così da portare consapevolezza nella schiena, noi possiamo praticare la posizione con la nostra schiena al muro (o ad un’angolo del muro). Da qui, possiamo usare il senso del tatto per capire il posizionamento della nostra schiena. Col portare consapevolezza nella schiena, noi possiamo correggere la nostra conoscenza-non corretta, e apprendere come riallungare in maniera uguale la parte avanti e dietro della colonna, e muoversi così da viparyaya a pramana.
Tale pratica che coltiva la consapevolezza può sviluppare una conoscenza valida circa una parte importante della realtà: il nostro corpo. Percependo correttamente il posizionamento del nostro corpo nello spazio e le varie attività che svolgiamo con esso, ci stiamo aprendo alla corretta percezione di ciò che è giusto e sbagliato in altre aree della nostra esperienza. Inoltre, la pratica corretta che è svolta con osservazione riflessiva può rimodulare e donarci, attraverso l’esperienza fisica, un senso di distinzione tra giusto e sbagliato. Questa abilità è la base per fissare pramana, o valida percezione della realtà.
Cos’è che costruisce il pramana?
Patanjali dice “la conoscenza valida è diretta (pratyaksha), dedotta (anumana) o provata come reale (agama)”. Quando iniziamo a praticare, non abbiamo la diretta percezione basata sui dati sensoriali e dobbiamo basarci sull’evidenza esterna, che vuol dire, ascoltare ciò che ci dice l’insegnante, o leggere libri sullo yoga ed apprendere da questi (agama). Più tardi, quando iniziamo a ravvisarne lo scopo, possiamo trarne delle conclusioni o delle deduzioni razionali in merito (anumana). Solo quando diveniamo abili e maturi possiamo raggiungere la percezione intuitiva diretta della realtà che sperimentiamo (pratyaksha).
Iyengar racconta del suo sentiero dello yoga (volume 3 di Astadala Yoga Mala) e dice “Capovolgendo il sutra 1.7 di Patanjali, imparai l’importanza del sadhana. Presi ogni asana, Utthita Trikonasana, Tadasana o Vrshikasana come una scrittura spirituale (agama). Per me ogni asana divenne un libro di letteratura. Sapendo che ogni asana è un’icona archetipica del corpo, lavorai per ottenere quella raffinatezza in ognuna. Per questo usai il riferimento di Patanjali, per applicare la mia stessa immaginazione logica (anumana). Quindi, praticai usando i props e gli aggiustamenti in diverse maniere. Improvvisamente, sperimento naturalezza, armonia, padronanza e ritmo nelle varie parti del corpo, e leggerezza nella mente. Questo senso d’armonia nel corpo e di leggerezza nella mente mi condusse alla valida conoscenza (pramana). Questa valida conoscenza mi portò alla percezione intuitiva (pratyaksha-pramana)”.