Meditazione come terapia

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Pratiche spirituali, meditazione o preghiera possono aiutare a difendere il cervello dalla depressione. Lo studio pubblicato su Jama Psychiatry che riabilita il ruolo dimenticato della spiritualità. La meditazione fa bene. E su questo tema, sono ormai decine le ricerche che ne hanno dato conferma. Anche altre pratiche meditative, indubbiamente, sono utili anche alla salute. Ma finalmente adesso ne conosciamo il motivo. Le pratiche spirituali, infatti, sarebbero legate a un ispessimento  della corteccia cerebrale.

Il risultato che ne deriva, secondo alcuni studiosi della Columbia University, proteggerebbe dalla depressione e da altri disturbi di salute mentale, in particolare nei soggetti geneticamente predisposti. I sintomi della depressione provocano nei soggetti calo di interesse nelle attività di gruppo, nelle varie relazioni sociali (amicizie, famiglia, interessi culturali, sportivi ecc.) e nell’amore per la vita stessa.

Secondo recenti stime la depressione colpisce ben 121 milioni di persone in tutto il mondo. Per tale motivo, alcuni ricercatori hanno deciso di indagare sulle motivazioni scatenanti e se ci sono reali effetti protettivi legati alla ricerca spirituale (atma vichara). Per far ciò, sono stati coinvolte 103 persone adulte, sia ad alto che basso rischio di depressione. Tale rischio era basato sostanzialmente sul vissuto familiare dei soggetti. Nei volontari sottoposti a risonanza magnetica si è potuto notare come chi dava grande importanza alla ricerca interiore o alla spiritualità in generale, possedesse delle cortecce cerebrali molto più spesse, rispetto a soggetti non interessati allo yoga o al Dharma. Ma non è tutto: tale ispessimento si notava in particolar modo nelle stessa zona in cui vi era un evidente assottigliamento nelle persone con altissimo rischio di depressione: come se il tessuto cerebrale nei soggetti ad alto rischio depressivo venisse lentamente eroso!

“Il nuovo studio collega questo (estremamente grande) beneficio protettivo della spiritualità o religione” – spiega Lisa Miller, docente di Psicologia e direttrice dello Spirituality Mind Body Institute presso il Teachers College della Columbia University . Studi precedenti erano riusciti a individuare grandi distese di assottigliamento corticale in regioni specifiche del cervello, nei figli adulti di famiglie ad alto rischio di depressione. Prima di tale ricerca, Miller e il suo team avevano rilevato una diminuzione del 90% della depressione nelle persone che seguivano pratiche spirituali  o meditative rispetto ai genitori che, invece, erano soggetti ad alto rischio.

Dai risultati dello studio pubblicato su JAMA Psychiatry è anche emerso che la frequenza regolare di un luogo preposto – per esempio frequentare una chiesa, un tempio, un centro – non era assolutamente necessaria. Era invece di estrema importanza il rilievo che si dava alla disciplina o alle proprie pratiche. Miller afferma che senz’altro saranno necessarie ulteriori ricerche in merito, ma già i dati ottenuti sono molto promettenti e mettono in evidenza come una pratica meditativa possa incidere notevolmente anche a livello fisiologico.

Potremmo concludere l’articolo, ricordando l’antico detto di Virigilio – anche se inizialmente il senso era un po’ differente –  “Mens agitat molem”,  e cioè lo spirito vivifica la materia. A questo aggiungerei il primo degli Yoga Sutra di Patanjali: “Yoga Chitta Vritti Nirodha”, che immancabilmente sottolinea: “La pratica dello yoga tiene sotto controllo le onde agitate (Vrittis) della mente (Chitta)”. Meditate, gente, meditate! Scrivetemi le vostre esperienze utili per chi ci segue.

Fonte: lastampa.it del 22-01-14, – Neuroanatomical Correlates of Religiosity and Spirituality

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